Personal Branding: uno strumento per la vita professionale
Personal Branding: uno strumento per la vita professionale. Jeff Bezos, fondatore di Amazon, ha affermato che il Personal Branding è “quello che le persone dicono di te, quando tu non sei nella stanza”. Secondo una definizione più classica è l’insieme delle strategie per promuovere le proprie competenze ed esperienze, sia di fronte agli attuali o futuri datori di lavoro sia nei confronti di potenziali clienti.
Per esaminare queste strategie e capire se e quanto è importante il Personal Branding ne parliamo con Micol D’Andrea, Consulente e formatrice in branding e comunicazione in Business School, come 24OreBusinessSchool e Treccani Accademy.


Personal Branding: uno strumento per la vita professionale. Intervista a Micol D’Andrea
1. Teoricamente mi sembra che tutti dobbiamo mettere in atto una strategia di Personal Branding, quindi la prima domanda parte propria da qui. Chi sono i soggetti per i quali è più importante fare una strategia di Personal Branding?
Il Personal Branding, così come tutto il branding, è legato a due concetti fondamentali come l’identità e il valore. In termini molto semplificati il branding è un processo per la scoperta e strutturazione dell’identità di un soggetto, di un prodotto/servizio, di un’azienda/istituzione. Questo processo, svolto in continuità nel tempo con coerenza, porta valore. Il branding quindi, prima di essere un processo di promozione, è un processo di identificazione. Se partiamo da questa riflessione possiamo dire che tutti in generale possono approcciarsi a questa disciplina per conoscere meglio se stessi. Nel santuario di Delphi in Grecia sul frontone del tempio di Apollo c’era una scritta “Conosci te stesso”: un invito che poi è diventato il cuore della filosofia socratica. La scoperta del sé può avvenire attraverso discipline e metodologie diverse: dalla psicologia alla meditazione e ciascuno di noi può trovare gli strumenti più adatti e che risuonano meglio con la propria personalità ed interessi. Il branding però, oltre a offrire degli strumenti per la scoperta, aiuta attraverso le sue metodologie a far in modo che quella scoperta possa essere raccontata e valorizzata correttamente nel tempo.
2. Da cosa bisogna partire affinché una strategia di Personal Branding sia davvero efficace?
Sembra banale, ma sicuramente dalla consapevolezza di accettare il risultato che il percorso di scoperta avvia. Spesso le persone partono con un’idea standardizzata o idealizzata di quello che vorrebbero essere, a volte anche influenzate da archetipi che maggiormente vanno di moda o che sembrano di successo. Nella mia esperienza di consulente, una delle prima cose che faccio, è trasmettere alla persona la necessità di investigare la propria identità e non costruirla a tavolino. La costruzione fittizia, infatti, rischia di allontanarci dal chi siamo e alimentare dissonanze cognitive che sono molto pericolose. Tornando a Socrate “Conosci te stesso” implicava anche “Accetta te stesso”. Questo non vuol dire che dobbiamo rimanere monolitici e non sforzarci di migliorare, tutt’altro. Ma dobbiamo considerare tutti gli aspetti della nostra persona. Nel marketing c’è una metodologia molto conosciuta che si chiama analisi SWOT e prevede l’analisi dei punti di forze e di debolezza di un soggetto. Ecco aver ben presente i nostri limiti è il primo passo per superarli.
3. Tre regole da seguire per la costruzione di un Personal Branding.
Devo dirti che non sono un’amante delle formule semplicistiche. Vedo moltissimi colleghi che comunicano così sui social..le 3 regole, le 5 tips, i 10 comandamenti ;-). Preferisco una visione più allargata, guidata dalla metodologia del branding e arricchita con altre materie che mi interessano, come le neuroscienze e l’economia comportamentale. Ma siccome è anche vero che la comunicazione necessita di messaggi chiari per essere efficace se devo scegliere le tre regole ti dico che, occorre essere:
- leali con sé stessi
- costanti nel tempo
- innovativi
Per me l’innovazione, nel senso di trasformazione e nuove visioni, è la vera chiave per affrontare i percorsi professionali. Herminia Ibarra, docente della London Business School, ha portato contributi molto interessanti sul tema. Le aspettative di vita aumentano e questo, a livello professionale, comporta che ci dobbiamo mettere nella prospettiva di adattarci ai cambiamenti lavorativi. Non è detto che, se entriamo nel mondo del lavoro con un titolo e una professione, necessariamente siano gli stessi con cui termineremo. In quest’ottica, il branding regala uno strumento per essere competitivi nel mondo del lavoro e dialogare meglio anche con i responsabili delle Risorse Umane.
4. Personal branding aziendale e personal branding individuale. Differenze, punti di forza e debolezze.
Non ci sono grandi differenze. Negli ultimi anni si parla di marketing human to human, soprattutto dal 2006 con i contributi di Brain Kramer anche le aziende si sono spostate su una visione più umana e personale. Le aziende, anche quelle in settori più ingessati, pensiamo al bancario e finanziario, hanno scelto una comunicazione meno autoreferenziale e più vicina al proprio pubblico. Anche Philips Kotler, il santo patrone del marketing manager, è uscito con un libro sul tema. In realtà però non ci dobbiamo far abbagliare dalle etichette o semplificare. Il branding chiede di essere responsabili come emittenti del messaggio, ma anche come riceventi. Cerchiamo sempre di essere individui consapevoli e informati quando effettuiamo le nostre scelte come consumatori e come soggetti. Non amo quando le persone dicono “Ah questo è tutto marketing” in tono dispregiativo come se il marketing, e il branding, sia uno strumento per ingannare il consumatore. Si può fare un buon branding e un cattivo branding. Come si può fare buona architettura o cattiva architettura. Buona medicina o cattiva medicina. Dipende sempre dalla persona. E’ la persona che sceglie cosa fare. Non la materia.
5. Quanto sono importanti i canali social per la costruzione di un Personal Branding?
Sono fondamentali, sono il vero braccio armato della strategia di personal branding. Non è un caso che abbiamo iniziato a parlare di Personal Branding negli ultimi vent’anni con l’arrivo dei social network. Prima il Personal Branding si faceva ugualmente ma era gestito da società di comunicazioni e/o agenzie per immettere contenuti e notizie a disposizione del pubblico. Con i processi di disintermediazione che la nostra società ha avviato, non solo nella comunicazione, ma in generale nel rapporto tra individui e aziende, ogni soggetto può comunicare al proprio pubblico, anzi mi correggo, può creare una propria audience a cui comunicare i proprio contenuti. E’ proprio questo l’elemento di frattura rispetto al modello di comunicazione precedente. La possibilità di avere audience liquide che si muovono tra canali differenti. L’io stesso, ovvero l’emittente del messaggio, può essere diverso rispetto ai canali. Io, tu, e chi ci sta leggendo, sicuramente utilizziamo registri diversi su Instagram rispetto a LinkedIn, ad esempio, che è un social più professionale. Inoltre, ogni canale social risuona con la personalità del soggetto. Qualche anno fa, uscì un articolo sul Corriere della Sera che diceva “Dimmi che social usi e ti dirò chi sei”…..mai titolo più corretto.


6. Il tuo metodo per la costruzione del Personal Branding si chiama #brandingcrazywall. Ci spieghi in cosa consiste?
Sono molto affezionata alle #brandingcrazywall, per cui grazie mille per la domanda. Sono nate durante l’inizio della prima ondata della pandemia Covid-19 per caso mentre riguardavo una serie tv investigativa. Da lì mi è nata l’idea di prendere spunto dal metodo investigativo per identificare chi siamo. Alla fine l’investigatore fa quello. Cerca identità. Nei film vediamo poliziotti e agenti alle prese con enormi board (tavole) in cui vengono raccolti gli indizi e poi selezionati e messi in relazione per seguire una traccia. L’idea è di fare altrettanto con i dettagli della nostra vita professione e personale per trovare un filo conduttore che ci porti a capire la nostra ricerca. Non ho mai amato la domanda “Che cosa vuoi fare da grande?” ho sempre pensato che la vera domanda da porci sia “Qual è la mia ricerca? Che valore aggiunto voglio portare alla mia vita e agli altri?” Simone Sinek dice “Start with Why” ovverosia parti dal tuo perché. La ricerca del purpose è la chiave. Vedi alla fine si torna sempre a Socrate.
Le #brandingcrazywall, dopo una prima parte di scoperta, propongono una parte più operativa per costruire il nostro percorso di valorizzazione. La metodologia non è complessa e, una volta acquisita, può essere uno strumento a disposizione per altri progetti.


7. C’è un libro sull’identità personale che ti ha colpito e che ti senti di consigliare?
Per chi si avvicina alla materia direi “Fai di te stesso un brand” puoi trovarlo qui, di Riccardo Scandellari, professionista che stimo molto. E un altro, più complesso e a tratti ostico, almeno per me lo è stato, ma bellissimo è “Identità Visive” di Jean Marie Floch, puoi trovarlo qui, semiotico e pubblicitario francese, purtroppo morto precocemente. Ma in generale ogni libro di saggistica o narrativa può essere letto come un contributo di branding. In “Vite Parallele”, Plutarco racconta il mindset greco e romano attraverso le vite di grandi uomini illustri. Leggendolo è possibile scoprire decine di personali modelli di branding. Il mio suggerimento è di esercitarsi a guardare con attenzione quello che fanno gli altri per capire cosa ci piace e cosa no e sviluppare una nostra personale attitudine al branding. Buon lavoro. 😉
Per approfondire l’argomento e chiedere ulteriori informazioni micoldandrea.com/brandcurator/
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